Sedani Supplea Unica Vegan Bio con crema di carciofi

Sedanini Supplea Unica Vegan Bio con crema di carciofi

Passata la Pasqua, si torna alla normalità; anzi, dopo che si è esagerato a tavola quest’ultimo fine settimana, si ha proprio voglia di “ripulire” l’organismo dagli eccessi che ci siamo concessi. Per tale motivo vi proponiamo una ricetta con i carciofi, i quali sono noti per le loro caratteristiche depurative, come abbiamo già scritto in precedenza. Per questa ricetta possono essere usati anche dei carciofi eventualmente rimasti dal giorno precedente.

 

INGREDIENTI (per due persone)

Sedani Supplea Unica Vegan Bio con crema di carciofi

Sedanini Supplea Unica Vegan Bio con crema di carciofi

♦ 160 g di sedanini Supplea Unica Vegan Bio
♦ 1 carciofo di medie dimensioni con il gambo
♦ 3 cucchiai di olio Extra Vergine di Oliva
♦ 1 spicchio d’aglio
♦ una manciata di pinoli
♦ prezzemolo
♦ pepe
♦ sale q. b.

 

Pulite il carciofo scartando le parti dure del fiore e la buccia del gambo. In una padella ampia scaldate un cucchiaio di olio EVO e mettetevi il carciofo con il gambo girato in su. Per utilizzare al meglio il tempo trascorso in cucina e l’energia usata per cucinare, potete preparare più carciofi e lasciarli come contorno per un altro pasto. Lasciate ammorbidire il carciofo nella padella coperchiata, aggiungendo all’occorrenza un po’ d’acqua, e quindi toglietelo dalla padella e lasciatelo raffreddare un po’. Mettete il carciofo nel frullatore con due cucchiai di olio EVO, lo spicchio d’aglio, i pinoli, il prezzemolo, il sale e il pepe e riducete gli ingredienti in crema, frullandoli bene.  Nel frattempo cuocete la pasta in abbondante acqua salata (tempo di cottura indicato per Supplea Unica Vegan BIO – sedanini: 4/5 min) e scolatela. Utilizzate un po’ d’acqua di cottura della pasta per diluire la vostra crema di carciofi, disponetene metà in una ciotola, versatevi la pasta scolata ed aggiungete poi il resto della crema. Mescolate bene per distribuire uniformemente il condimento e servite guarnendo con qualche ciuffetto di prezzemolo.

BUON APPETITO!!!


lino scuro e dorato

Semi di lino

“Ovunque i semi di lino divengano un cibo comune tra la gente, lì ci sarà una salute migliore”

Queste sono le parole del Mahatma Gandhi che racchiudono perfettamente l’importanza di semi di lino nella nostra alimentazione. La sua affermazione era empirica, basata sulle semplici osservazioni, ma i dati scientifici confermano in pieno le sue parole. 

Tra tutti i semi oleosi, i semi di lino sono quelli che ci offrono più proprietà benefiche per la salute. Sono una buona fonte di fibra, di vitamine B1 e E, di rame, ferro, magnesio, fosforo e selenio, ma ciò che li rende veramente unici e superiori ad altri tipi di semi (oseremmo dire anche ad altri alimenti) è la presenza di acidi grassi omega-3 in alta concentrazione, la presenza di lignani e di mucillagine (fibra solubile o formante gel). Questi tre aspetti nutrizionali fanno dei semi di lino e dell’olio che se ne ricava un importante ingrediente utilizzato sempre di più nella produzione di alimenti funzionali di vario genere (pane, dolci, pasta, margarine non idrogenate), che li arricchiscono di preziosi nutrienti donando proprietà benefiche.

lino scuro e dorato

Nonostante il colore diverso, il lino dorato e scuro hanno le stesse proprietà nutrizionali e salutari

I semi di lino sono la fonte vegetale più ricca di acidi grassi omega-3

In 100 g di lino ci sono ben 22 g di acidi grassi omega-3, corrispondenti a più di 700 % della dosi raccomandata giornaliera di questo nutriente (la dosi raccomandata è di 2 g di ALA, acido alfa-linoleico, e 0.5-1 g di EPA, acido eicosapentaenoico, e DHA, acido docosapentaenoico). Come confronto, il salmone – il pesce più ricco di acidi grassi omega-3 – ne contiene circa 3 g in 100 g.

Il principale acido grasso omega-3 presente (circa il 22 %) è l’acido alfa-linolenico, ALA, un acido grasso essenziale, ovvero un acido grasso che il nostro corpo non può sintetizzare e deve essere apportato con la dieta.  Dopo il consumo di semi di lino aumenta la concentrazione nel sangue anche di altri due acidi grassi omega-3 (sintetizzati nel corpo): acido eicosapentaenoico (EPA) e docosapentaenoico (DPA) (Taylor ed altri, J. Am. Coll. Nutr. 2010).

Un fatto importante è che i processi termici ed i prolungati periodi di stoccaggio della farina di semi di lino (90 giorni) non cambiano significativamente i livelli dell’ALA ((Morais ed altri, Food Nutr. Sci., 2011). Altre ricerche sui prodotti da forno contenenti i semi di lino e sulla pasta contenente la farina di semi di lino, sottoposti a processi termici e meccanici, hanno confermato la stabilità degli acidi grassi provenienti dai semi di lino  (Marpalle ed altri, Food Sci. Tech., 2015Villeneuve ed altri, Food Bioprod. Proc., 2013).

L’acido alfa-linolenico ed altri acidi grassi della serie omega-3 hanno diversi effetti sulla salute umana: possono prevenire un’eccessiva risposta infiammatoria ed in questo modo proteggono i vasi sanguigni e le articolazioni dai danni che ne conseguono, stimolano la circolazione, possono abbassare la pressione sanguigna ed i livelli di colesterolo cattivo (LDL colesterolo). 

Lignani presenti nei semi di lino potenti antiossidanti e antitumorali

I lignani sono polifenoli contenuti nella parte legnosa delle piante (simili a fibra) che appartengono alla classe dei fitoestrogeni (composti simili ad estrogeni – ormoni sessuali femminili). E’ proprio la loro struttura chimica che ne determina le proprietà benefiche: come tutti i polifenoli sono dei potenti antiossidanti e come fitoestrogeni possono proteggere dai tumori, in particolare dal tumore al seno e alla prostata (Singh ed altri, Crit. Rev, Food Sci. Nutr. 2011). I semi di lino sono la fonte alimentare più ricca di lignani – ne contengono 7 volte di più rispetto al sesamo, il secondo alimento più ricco in lignani. I lignani, insieme ad altri polifenoli contenuti nei semi di lino, fanno un totale di polifenoli molto alto, più alto addirittura del contenuto nei mirtilli o nelle olive.

Fibra mucillaginosa dei semi di lino: un alleato dell’intestino

La fibra gommosa, presente nei semi di lino, è solubile nell’acqua e sciogliendosi crea una specie di gel che può contribuire al buon funzionamento del tratto digerente e ad una buona digestione, ma anche alla riduzione del colesterolo e stabilizzazione dei livelli di zucchero nel sangue come è noto in genere per altri tipi di fibra vegetale.

Il gel che si crea quando la fibra dei semi di lino viene sciolta nell’acqua  può prevenire lo svuotamento dello stomaco troppo rapido, il che permette una migliore digestione nello stomaco. Di conseguenza i nutrienti vengono assorbiti più efficacemente nell’intestino tenue. La fibra mucillaginosa dei semi di lino è anche un ottimo rimedio contro la stitichezza; in questo modo contribuisce alla riduzione dell’esposizione del colon ai composti chimici che causano i tumori.

Qualche consiglio utile

Per beneficiare degli effetti descritti, come probabilmente avete capito, sarebbe meglio lasciare in ammollo i semi di lino prima di consumarli (una decina di minuti sarà sufficiente) o bere molta acqua in seguito alla consumazione. Altrimenti la fibra “risucchierà” l’acqua presente nel tratto digerente provocando la stitichezza. Questo vale per tutti i tipi di fibra vegetale: più la si consuma, più bisogna bere acqua.

Un altro valido consiglio è di macinare i semi di lino o di masticarli bene (in alternativa si può usare anche la farina di semi di lino) perché in questo modo migliora la biodisponibilità dei preziosi nutrienti, dato che il nostro organismo non è in grado di “aprire” l’involucro dei semini. Una volta macinati, se non pensate di consumarli entro 2-3 mesi, sarebbe opportuno tenerli in un posto fresco al riparo da fonti di luce (va bene anche nel frigorifero).

APPROFONDIMENTI:

http://whfoods.org/genpage.php?tname=foodspice&dbid=81

 


Il Parmigiano Reggiano

Il Parmigiano Reggiano, l’orgoglio della cultura culinaria italiana, è un “must” che ogni frigorifero che si rispetti deve contenere.

Tranne naturalmente in caso di allergia ai latticini, ma anche in questo caso, forse, non si dovrebbe rinunciare completamente come leggerete più avanti. Prima vediamo perché è così consigliabile farne uso.

Il Parmigiano Reggiano è un formaggio a pasta dura e a lunga stagionatura, il che significa che ha perso molta acqua ed è costituito per ben il 70 % da sostanza secca, composta da vari nutrienti. Per la produzione di un chilogrammo di Parmigiano servono ben 16 litri di latte che, durante vari processi di produzione e stagionatura, vengono concentrati (eliminando la parte acquosa) e questo è il motivo per cui diventa ricchissimo di sostanze nutritive. A questo arricchimento si aggiungono anche i prodotti di reazioni biochimiche che avvengono durante la fermentazione del latte e durante la stagionatura del Parmigiano stesso.

Il Parmigiano Reggiano è ricco di proteine, di vitamine del gruppo B, di vitamina A e di sali minerali, in particolare calcio, fosforo e potassio. Un dato molto interessante è che contiene meno grassi rispetto ad altri formaggi a pasta dura, in quanto prodotto con latte parzialmente scremato, ed è privo di carboidrati, il che risulta molto importante per chi è intollerante al lattosio (un carboidrato presente nel latte).

Durante la stagionatura le reazioni biochimiche guidate dagli enzimi presenti del latte trasformano la caseina (una proteina del latte) in frazioni proteiche più piccole (peptidi) fino alla scomposizione in amino acidi (le unità di base che costruiscono le proteine) e rendono la caseina altamente digeribile. Per questo motivo il Parmigiano è indicato anche per le persone intolleranti alle proteine del latte vaccino, anche se va precisato che per questa trasformazione occorrono almeno 24 mesi di stagionatura.

Parmigiano_Reggiano_molto-stagionato

Nel Parmigiano Reggiano molto stagionato è possibile percepire e vedere i cristalli dell’amino acido tirosina

La presenza di amino acidi liberi può essere addirittura percepita con i nostri sensi: sono i granelli che si vedono e che si sentono sotto i denti quando si mangia un pezzo di Parmigiano Reggiano stagionato. Questi granelli sono dei cristalli formatisi dalla concentrazione in forma libera dell’amino acido tirosina. Pertanto, ognuno di noi è in grado di riconoscere  una buona stagionatura.

I processi di trasformazione che proteine, grassi e carboidrati subiscono durante la stagionatura, oltre a far diventare il Parmigiano più digeribile, gli donano anche il tipico aroma, di cui sono responsabili le molecole sprigionatesi che sono spesso anche volatili. Ed è anche per questo motivo che il Parmigiano, una volta aperta e tagliata la forma, viene messo sottovuoto.

Un altro dato interessante è che nel Parmigiano Reggiano sono presenti gli oligosaccaridi, ovvero le fibre prebiotiche (come l’inulina) in grado di favorire lo sviluppo della microflora intestinale benefica (“flora bifidogena” costituita da Bifidobatteri e Lattobacilli). Queste molecole non esistono nel latte di partenza, usato per la produzione del Parmigiano, bensì si sviluppano durante la maturazione biologica del Parmigiano stesso come conseguenza di processi fermentativi con i batteri lattici, processi che liberano anche gli enzimi responsabili delle trasformazioni di proteine e di grassi. La presenza di fibre prebiotiche e l’assenza di lattosio rende il Parmigiano un alimento utile nella dieta in caso di patologie gastroenteriche, anche per i lattanti, come hanno dimostrato svariate ricerche a partire dagli anni 80 (Olivi et al., 1983; Pancaldi et al., 2008) .

I batteri lattici, naturalmente presenti nell’ambiente, costituiscono la base microbiologica per tutte le trasformazioni biochimiche che avvengono nel formaggio durante la stagionatura: sono specifici per ogni ambiente (aria, acqua e suolo) e di conseguenza strettamente legati saranno sia le reazioni biochimiche che gli aromi sviluppati durante tali trasformazioni. Perciò il Consorzio di produttori del Parmigiano determina la zona di produzione e orienta la scelta di alimentazione delle mucche da latte sui foraggi locali.

Dunque, il Parmigiano Reggiano è un ottimo alimento ma è bene moderarne le quantità consumate, dato che 100g di prodotto contengono 1,6 g di sale e 83 mg di colesterolo (le quantità giornaliere raccomandate sono 5 g per il sale e 300 mg per il colesterolo). Uno spicchio di 20 g di Parmigiano Reggiano al giorno potrebbe essere il giusto compromesso tra beneficio per la salute e piacere nel gustarlo. Oltre che per il pasto principale, ve lo consigliamo anche a metà mattina o a metà pomeriggio accompagnato da un frutto per una merenda ben bilanciata dal punto di vista nutrizionale. Per quanti hanno  problemi con la pressione bassa, a merenda consigliamo 20 g di Parmigiano e mezza banana – il sale del Parmigiano ed il potassio della banana vi aiuteranno più di un caffè!

Parmigiano Reggiano vs Grana Padano

In quest’articolo abbiamo parlato solo del Parmigiano senza fare un accenno al suo principale rivale – il Grana Padano – un’altra eccellenza italiana. Dal punto di vista nutrizionale sono molto simili ma quello che li differenzia sono la zona di produzione, l’alimentazione delle bovine, alcuni procedimenti nel processo di produzione, il periodo di stagionatura e, quello che probabilmente interessa maggiormente un consumatore – il sapore ed il prezzo.

La zona di produzione del Grana è più vasta e comprende Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Veneto. La produzione del Parmigiano è un fiore all’occhiello della regione Emilia Romagna, dove per lo più viene prodotto nelle provincie di Parma, Reggio Emilia, Bologna e Modena. Una parte viene prodotta anche nella provincia lombarda di Mantova.

Le bovine che danno il latte per il Parmigiano possono essere alimentate soltanto con erba cresciuta nella zona di produzione del formaggio. Il disciplinare per la produzione del Grana è meno rigido e per l’alimentazione delle bovine permette l’utilizzo anche degli insilati oltre all’erba.

Per quanto riguarda il processo di produzione, ci sono 4 differenze tra il Grana ed il Parmigiano:

  1. il Grana può essere prodotto con due lavorazioni al giorno mentre il Parmigiano soltanto con una;
  2. il Parmigiano si fa soltanto una volta al giorno con il latte munto la sera prima,  parzialmente scremato e contenente circa il 2,4 % di grasso, cui si aggiunge direttamente quello intero della mungitura del mattino. Il Grana può essere prodotto in due lavorazioni giornaliere per le quali viene utilizzato il latte crudo di due mungiture dello stesso giorno. Il latte per il Grana è un po’ meno grasso e contiene circa il 2 % di grassi;
  3. il Parmigiano è prodotto con il caglio d’origine animale (vitello), mentre per il Grana può essere utilizzato anche il caglio vegetale oppure batterico (il caglio è una miscela di enzimi proteolitici che scindono una parte di caseine – proteine del latte – provocando la coagulazione delle rimanenti caseine che precipitano e formano la cagliata);
  4. nella produzione del Parmigiano è vietato l’uso di conservanti, mentre per il Grana è ammesso l’uso di conservanti e di solito si usa il lisozima (un enzima presente nei tessuti animali dotato di attività battericida).
Stagionatura del Parmigiano

Per la stagionatura del Parmigiano occorrono almeno 12 mesi, mentre il Grana può essere consumato già dopo 9 mesi

La stagionatura del Grana dura meno rispetto a quella del Parmigiano, perché è meno grasso. Il Grana, già dopo 9 mesi, sviluppa le tipiche caratteristiche organolettiche e può arrivare ad una stagionatura di massimo 24 mesi. Per la stagionatura del Parmigiano occorrono almeno 12 mesi e si può arrivare fino a 36 mesi.

Il Parmigiano ha un sapore più deciso e complesso, ricco di sapidità e note erbacee, ed una consistenza più granulosa nel caso di stagionature prolungate (più di 24 mesi). Il Grana ha un gusto più burroso, meno sapido e risulta più fresco e delicato.

Il prezzo varia notevolmente, non solo tra i due tipi di formaggio ma anche tra vari marchi dello stesso tipo di formaggio, che presentano differenze anche nel sapore. Sul sito de Il Fatto Alimentare sono riportati i risultati del test condotto dalla rivista Altroconsumo su 12 marchi di Grana Padano e su 12 marchi di Parmigiano. Il test è stato realizzato per valutare la qualità del formaggio e la bontà del sapore della stessa tipologia di formaggio (Grana o Parmigiano). Dal test risultata che non sempre il prezzo alto garantisce la qualità. I risultati del test suggeriscono anche il miglior acquisto che garantisce una buona qualità ad un prezzo interessante.

 

BIBLIOGRAFIA:

http://www.parmigianoreggiano.it/come/caratteristiche_nutrizionali/default.aspx

Olivi O, Forese S, Balli F, Venuta A, Bondavalli M. Terapia dietetica delle enteriti in età pediatrica (esperienza in 929 casi). Pediatr Med Chir. 1983; 5: 531-5.

Pancaldi M, Mariotti I, Balli F. Intestinal inflammation in nursing infants: different causes and a single treatment…but of protected origin. Acta Biomed. 2008; 79: 144.50.


L’olio di oliva

L’olio di oliva, dono del clima mediterraneo, è il protagonista principale della Dieta Mediterranea, riconosciuta da tante autorità sanitarie come dieta ideale e dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’Umanità

Esistono vari tipi di olio di oliva ma quelli più pregiati sono l’olio di oliva extravergine e vergine, entrambi ottenuti con la sola estrazione meccanica (spremitura), senza utilizzo di solventi e senza raffinazione. La differenza tra i due tipi di olio sta nel diverso contenuto di acidi grassi liberi (c.d. acidità dell’olio): tanto minore ne è la quantità, tanto migliore risulta la qualità. In effetti, per poter essere denominato extravergine, l’olio di oliva deve avere un’acidità inferiore allo 0,8 % mentre nell’olio di oliva vergine, secondo il regolamento europeo Regolamento CE 1989/03, ne è consentita la presenza fino al 2 %. Questa lieve differenza in acidità nasce dal grado di maturazione delle olive da cui sono ottenuti gli oli (meno sono mature, inferiore sarà l’acidità dell’olio, ma anche la resa sarà più bassa), dall’integrità delle olive (ogni danneggiamento dei tessuti provoca la liberazione degli acidi grassi e di conseguenza l’innalzamento dell’acidità dell’olio) e dal tempo trascorso dalla raccolta all’estrazione dell’olio (prima inizia l’estrazione, più bassa sarà l’acidità). Dunque si può dedurre che sarà premiato con il titolo di “extravergine” l’olio di oliva ottenuto dalle olive meno mature, meno danneggiate e lavorate prima possibile. Il tutto, però, a discapito della quantità di olio ricavata.

Lo stadio di maturazione e la composizione degli acidi grassi, compresa la presenza di acidi grassi liberi – ovvero l’acidità dell’olio di oliva -, sono due parametri che si riflettono anche sulle proprietà salutistiche e sull’utilizzo in cucina.

L’olio di oliva extravergine ottenuto dalle olive meno mature, cioè quello ottenuto all’inizio della stagione di produzione dell’olio, è più ricco in polifenoli e di conseguenza possiede proprietà antinfiammatorie più accentuate, come dimostrato dalle ricerche in proposito.

L'olio di oliva

L’olio di oliva – unico alimento a cui sono state riconosciute ufficialmente le proprietà antiossidanti

Inoltre, i polifenoli dell’olio di oliva contribuiscono alla protezione dei lipidi ematici dallo stress ossidativo, un’indicazione sulla salute (health claim) che è stata riconosciuta dall’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (cfr. Reg UE 432/2012). In altre parole, ai polifenoli dell’olio di oliva sono state riconosciute proprietà antiossidanti e per adesso sono gli unici polifenoli studiati sufficientemente da poter soddisfare i rigidi criteri dell’EFSA, necessari per giustificare le proprietà salutistiche dichiarate. Lo stesso status non è stato ancora riconosciuto ai polifenoli presenti in altri alimenti, come ad esempio nel vino rosso, nella frutta o nella verdura. Questa indicazione può essere impiegata solo per l’olio di oliva che contiene almeno 5 mg di idrossitirosolo e suoi derivati (ad esempio, complesso oleuropeina e tirosolo) ogni 20 g di olio d’oliva, e va accompagnata dall’informazione per il consumatore che l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione giornaliera di 20 g di olio d’oliva.

L’olio di oliva ha una composizione di acidi grassi molto interessante dal punto di vista nutrizionale e culinario; è composto per il 70-80 % di acidi grassi monoinsaturi, per il 10-15 % di acidi grassi saturi e per il 10 % circa di acidi grassi polinsaturi, diversamente da altri oli che arrivano al massimo al 60 % di acidi grassi monoinsaturi ed hanno più alte percentuali di acidi grassi saturi (poco salutari) e di acidi grassi polinsaturi (salutari ma instabili ad alte temperature).

Perché sono importanti gli acidi grassi monoinsaturi?

Per quanto riguarda l’effetto benefico sulla nostra salute, è stato dimostrato che gli acidi grassi monoinsaturi – ed in particolare l’acido oleico presente appunto nell’olio d’oliva – abbassano significativamente il livello totale di colesterolo nel sangue, il livello di lipoproteine a bassa densità (LDL), ovvero il colesterolo “cattivo”, ed il rapporto tra le lipoproteine a bassa e ad alta densità (HDL), ovvero il rapporto tra il colesterolo “cattivo” e “buono”. Recentemente, per la prima volta, l’acido oleico dell’olio di oliva è stato collegato anche con l’abbassamento della pressione sanguigna.

Gli acidi grassi monoinsaturi sono resistenti alle alte temperature e se nell’olio di oliva non sono presenti gli acidi grassi liberi, come nel caso di un buon extravergine, può essere utilizzato nella cottura dei cibi e perfino per le fritture. L’olio di oliva extravergine ha il punto di fumo (la temperatura alla quale l’olio riscaldato inizia a bruciare ed essere dannoso) tra i 160°C ed i 240°C, il che corrisponde al punto di fumo di altri oli/grassi principalmente utilizzati per la frittura, quali l’olio di palma e lo strutto, maggiormente composti da acidi grassi saturi stabili ad alte temperature ma non molto desiderati nell’alimentazione.

Quando consumate l’olio di oliva ricordatevi, però, che è un alimento ad alto contenuto di grassi (99 %) ed è quindi molto calorico. Perciò limitatene il consumo ad 1-2 cucchiai per pasto a persona, che saranno più che sufficienti sia per condire le vostre pietanze, sia per godere del gusto e delle proprietà salutistiche dell’olio di oliva, come si ritrova anche nell’indicazione dell’EFSA riguardo le proprietà antiossidanti dei polifenoli nell’olio di oliva: “l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione giornaliera di 20 g di olio d’oliva.”


Supplea Bio - strozzapreti con olio Extra Vergine di Oliva e Parmigiano Reggiano

Strozzapreti Supplea Bio con olio Extra Vergine di Oliva e Parmigiano Reggiano

 

La pasta in bianco, piatto semplice, veloce, gustoso e salutare: si può preparare in tutte le stagioni ed è sicuramente la regina delle ricette, la più amata dagli italiani sin dalla più tenera età. Gli ingredienti di base non mancano mai in cucina: olio Extra Vergine di Oliva e Parmigiano Reggiano. Questa è la ricetta che proponiamo per il primo assaggio delle nostre paste funzionali, poiché non copre il loro gusto particolare e gradevole e, anzi, ne esalta le caratteristiche sensoriali eccezionali.

 

 

Supplea Bio - strozzapreti con olio EVO e Parmigiano Reggiano - Ingredienti

Ingredienti (per due persone)

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♦ 160 g di Supplea Bio strozzapreti

♦ 2 cucchiai di Olio Extra Vergine di Oliva

♦ Parmigiano Reggiano grattugiato

♦ sale q. b.

 

Cuocete la pasta in abbondante acqua salata (tempo di cottura indicato per Supplea BIO – strozzapreti: 4/5 min). Scolate la pasta e conditela con i due cucchiai di olio EVO e Parmigiano Reggiano grattugiato a piacere.

 

BUON APPETITO!!!